sabato 29 dicembre 2012

Quel gran pezzo della... figlia del capitano


La Voce di Romagna, 13 gennaio 2012


Domenica e lunedì, in prima serata, la Rai ha mandato in onda la Figlia del capitano, minifiction tratta da un romanzo storico di Puškin. Non solo la Rai l’ha mandata in onda, ma i dati auditel l’hanno premiata concedendole la palma della vittoria sul Grande Fratello nella prima puntata, e su Ballarò nella seconda. O gli Italiani hanno mostrato di apprezzarla, oppure hanno pensato che fosse la trasmissione meno peggiore della serata. Ohibò! Puškin, nel frattempo, si rivoltava nella tomba.

Ora, a difesa del povero Puškin e dell’intera letteratura russa, lasciatemi fare qualche considerazione su ‘sta Figlia del capitano prodotta da Edwige Fenech.


Anzitutto, i nomi. Primo Reggiani, che ha sopracciglia nerissime e grossissime come nessun russo si è mai sognato di avere, interpreta la parte del protagonista, Petr Andreevič Grinëv. Grinëv in russo si pronuncia “Griniof”, come Gorbacëv si pronuncia “Gorbaciof”. Per tutte le due serate lo abbiamo sentito chiamare “Grinev”. Non un buon inizio.

L’ambientazione geografica. La “fortezza” in cui si svolge gran parte dei fatti è in realtà un villaggetto collocato nella steppa della regione di Orenburg. Steppa, cioè «pianura di cui non si scorgono i confini, tutt'al più con lievi avvallamenti». Ora, la Fenech production ha pensato bene di fare di questa fortezza una specie di Forte del Far West, come quello di Rin Tin Tin o dei Forti di Forte Coraggio. E l'ha collocato sotto una specie di sperone dolomitico che a Orenburg hanno visto solo in cartolina.

Sui particolari dell’ambientazione culturale è meglio sorvolare per carità di patria. Non si può tuttavia non menzionare la «preghiera a mani giunte» dell’ortodossa figlia del capitano. Gli ortodossi, ovviamente, non pregano a mani giunte: è questa, infatti, una modalità passata dalla cultura laica feudale – come espressione della fedeltà al vassallo – alla preghiera occidentale – espressione della fedeltà a Dio.

Ma la cosa più improbabile di questa minifiction è la trasformazione, in buona parte riuscita, della morigerata Figlia del capitano in una commedia boccaccesca all’italiana (sia detto senza calunniare il povero Boccaccio). Perbacco! Non più tardi di una settimana fa la Fenech ha inveito sui giornali contro il destino cinico e baro che l’ha costretta negli anni Settanta a spogliarsi in film di Serie C: «L’ho fatto solo per sopravvivere, perché ero una ragazza madre. Ma era una grande umiliazione» –­ ha affermato. Con tanti saluti a Walter Veltroni e agli altri estimatori della commedia erotica di quegli anni che non si erano accorti quanto questa svilisse e offendesse la figura della donna.


La Figlia del capitano trasmessa dalla Rai introduce proditoriamente nel racconto di Puškin una Caterina II interpretata dalla stessa Edwige Fenech. Ora, che Caterina abbia avuto numerosi amanti e favoriti, non c’è il minimo dubbio. E tuttavia Puškin mostra l’imperatrice solo nel finale, nelle scene che risolvono l’intera vicenda: il suo incontro in incognito con la protagonista femminile Maša, e il successivo disvelamento con la grazia accordata a Grinëv. Niente amanti, niente sguardi lascivi, nessuna accoppiata nel Palazzo d’Inverno.

Naturalmente, una moderna reinterpretazione della Figlia del capitano  può introdurre nuove scene, nuovi personaggi, per rendere più appetibile il piatto servito dopo cena dalla Rai. E tuttavia colpisce che la Fenech trasformi Caterina II in una nonna dell’Ubalda tutta nuda e tutta calda. Perché darsi la pena di scomodare Puškin, a questo punto. Sarebbe stato più onesto produrre direttamente una minifiction intitolata La nonna di Giovannona Coscialunga o L’Ubalda: vent’anni dopo è ancora calda.

Alla fine della storia, dopo che è stata ristabilita la verità dei fatti, Grinëv si vede restituiti onore e dignità e si sposa con l’amata. Quella che in Puškin è una paginetta finale che vede i giovani convolare a nozze, nella fiction della Fenech vede i due innamorati infilarsi sotto le lenzuola ancor prima del matrimonio. Con tanti saluti alla coerenza psicologica e alla verosimiglianza storica del racconto.

Se tanto mi dà tanto, quando gireranno i nuovi Promessi sposi, faranno di don Rodrigo il capo della piovra e di Lucia una cubista di Cervia. 

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