La Voce di Romagna, 24 agosto 2012

Dunque, qual è l’interesse per la
vicenda di Cavallina? L’interesse è probabilmente nel fatto che questo ragazzo
veronese dopo essersi infatuato come tanti dell’ideologia marxista e della
“violenza proletaria”, in carcere matura un distacco sempre più radicale da
quella posizione ideologica. Incontra la vita, si scontra con la vita reale,
vede riaffacciarsi alla sua memoria e alla sua coscienza i volti e le fattezze
fisiche delle persone che ha ferito, dei presunti “nemici”. Capisce che quello
che ha fatto per anni non è stato altro che perpetuare una logica di violenza,
invece di opporvisi, si rende conto di quanto la lotta armata fosse prodotto e
matrice di una concezione dualistica – buoni o cattivi – che non lascia spazio
al cambiamento...
E si dissocia dal proprio passato.
Cavallina diventa così uno dei promotori del movimento della “dissociazione”,
di una dissociazione interiore e personale dal proprio “io” di un tempo. Piano
piano, evitando le insidie di chi su quella dissociazione vuole speculare
ideologicamente e politicamente – Toni Negri e Pannella, tra gli altri –
Cavallina si apre ad una vita nuova. Riceve un nuovo sguardo sulla sua vita da
parte di cristiani che testimoniano cos’è il perdòno, il perdòno di Dio, quello
che realmente cancella i peccati e fa di noi delle creature nuove. E finalmente
riesce lui stesso a guardare alla sua vita come a qualcosa che può acquisire un
valore, anzi che ce l’ha già, perché Dio ci ama. Poi è la storia della sua
conversione, del suo impegno in una espiazione anche umana, in attività dentro
il carcere che possano rappresentare una redenzione fattiva e non il cieco,
sordo e muto perdersi di una vita destinata al non senso, alla punizione come
assenza di ogni significato.
Ma è la radice di quel cambiamento
– il pentimento e il perdòno – che mi colpisce e che, se pure non è argomento scolastico
obbligatorio, ci riguarda tutti. Tutti noi che rischiamo ora e sempre di
dividere il mondo in buoni e cattivi, in “quelli che stanno dalla nostra parte”
e i “nemici”, in noi che, per i “cattivi” e i nemici” non riusciamo neanche a
intravedere vie di uscita, ma soltanto detenzioni punitive, la retribuzione di
una giustizia cieca al riscatto.
E invece no. Grazie al pentimento e al perdòno davvero le nostre azioni del passato possono ricevere un nuovo significato. Lo spiega bene Max Scheler nel suo L'eterno nell'uomo: contrariamente a quanto accade nel flusso
dei cambiamenti della natura inanimata – il cui tempo è un continuo uniforme,
ad una dimensione, che va verso una direzione determinata – nell’esperienza di
ciascun momento della nostra esistenza temporale sono presenti la totalità
della nostra vita e della nostra persona. Ne consegue che noi non disponiamo
solo del nostro futuro e del nostro presente, ma, in un certo senso, anche del
nostro passato. Certo, non possiamo modificare i fatti avvenuti, ma possiamo
modificarne il senso e il valore. Ogni cosa ha un senso e un valore all’interno
del senso globale della nostra vita ed è precisamente questo senso e questo
valore che noi possiamo modificare ex-post secondo il nuovo senso che la nostra
vita ha ricevuto.
Per
questo, aggiunge Scheler, è possibile che uno si penta fattivamente del male
compiuto. Il pentimento non è un’illusione, non è qualcosa di posticcio, ma è
un senso e un valore nuovo che le nostre azioni compiute nel passato
ricevono.
Se siamo quello che
siamo, testimonia Cavallina, è perché Qualcuno ci ha perdonati, si è assunto il
nostro male, il nostro peccato. E perché qualche suo discepolo ci ha reso
presente un nuovo sguardo pietoso su noi stessi. Come ho già scritto, in
occasione del Perdono di Assisi, tutti noi abbiamo bisogno di perdòno.
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