giovedì 6 dicembre 2012

Dissociarsi dal proprio passato


La Voce di Romagna, 24 agosto 2012 


Approfitto dell’estate per recuperare qualcosa sulla pila di libri che staziona stabilmente sulla mia scrivania. E arriva il turno di un libro bellissimo, La piccola tenda d’azzurro che i prigionieri chiamano cielo (Ares, 2005). Il sottotitolo chiarisce già un po’ di cosa si tratta (Anni di piombo, carcere, ricerca d’identità), ma quel che rimane difficile è definire l’autore, Arrigo Cavallina. Infatti, sarebbe facile dire che è uno dei protagonisti degli “anni di piombo”, passato per la “lotta armata” da “Potere Operaio” e “Autonomia Operaia” sino ai PAC (“Proletari Armati per il Comunismo”), che ha partecipato a diverse azioni eversive, ad attentati anche gravissimi, che è stato catturato e condannato, che ha scontato 15 anni in diverse galere italiane... Ma come dice lo stesso Cavallina in questo lungo diario sincero «quando mi capita oggi di parlare ai ragazzi delle vicende degli anni ’70, la Guerra del Vietnam, la Rivoluzione cubana... il coinvolgimento di tanti giovani in una ribellione dai molteplici volti, il Sessantotto, il maggio francese, ... via via fino alle Brigate rosse ... sento che tutto questo che ha segnato la mia vita come quella di molti, che ha lasciato ferite profondissime non rimarginate, è percepito oggi come lontano e indifferente quanto le guerre puniche, e forse perfino meno conosciuto perché non ancora argomento scolastico obbligatorio».
Dunque, qual è l’interesse per la vicenda di Cavallina? L’interesse è probabilmente nel fatto che questo ragazzo veronese dopo essersi infatuato come tanti dell’ideologia marxista e della “violenza proletaria”, in carcere matura un distacco sempre più radicale da quella posizione ideologica. Incontra la vita, si scontra con la vita reale, vede riaffacciarsi alla sua memoria e alla sua coscienza i volti e le fattezze fisiche delle persone che ha ferito, dei presunti “nemici”. Capisce che quello che ha fatto per anni non è stato altro che perpetuare una logica di violenza, invece di opporvisi, si rende conto di quanto la lotta armata fosse prodotto e matrice di una concezione dualistica – buoni o cattivi – che non lascia spazio al cambiamento...
E si dissocia dal proprio passato. Cavallina diventa così uno dei promotori del movimento della “dissociazione”, di una dissociazione interiore e personale dal proprio “io” di un tempo. Piano piano, evitando le insidie di chi su quella dissociazione vuole speculare ideologicamente e politicamente – Toni Negri e Pannella, tra gli altri – Cavallina si apre ad una vita nuova. Riceve un nuovo sguardo sulla sua vita da parte di cristiani che testimoniano cos’è il perdòno, il perdòno di Dio, quello che realmente cancella i peccati e fa di noi delle creature nuove. E finalmente riesce lui stesso a guardare alla sua vita come a qualcosa che può acquisire un valore, anzi che ce l’ha già, perché Dio ci ama. Poi è la storia della sua conversione, del suo impegno in una espiazione anche umana, in attività dentro il carcere che possano rappresentare una redenzione fattiva e non il cieco, sordo e muto perdersi di una vita destinata al non senso, alla punizione come assenza di ogni significato.
Ma è la radice di quel cambiamento – il pentimento e il perdòno – che mi colpisce e che, se pure non è argomento scolastico obbligatorio, ci riguarda tutti. Tutti noi che rischiamo ora e sempre di dividere il mondo in buoni e cattivi, in “quelli che stanno dalla nostra parte” e i “nemici”, in noi che, per i “cattivi” e i nemici” non riusciamo neanche a intravedere vie di uscita, ma soltanto detenzioni punitive, la retribuzione di una giustizia cieca al riscatto.
E invece no. Grazie al pentimento e al perdòno davvero le nostre azioni del passato possono ricevere un nuovo significato. Lo spiega bene Max Scheler nel suo L'eterno nell'uomo: contrariamente a quanto accade nel flusso dei cambiamenti della natura inanimata – il cui tempo è un continuo uniforme, ad una dimensione, che va verso una direzione determinata – nell’esperienza di ciascun momento della nostra esistenza temporale sono presenti la totalità della nostra vita e della nostra persona. Ne consegue che noi non disponiamo solo del nostro futuro e del nostro presente, ma, in un certo senso, anche del nostro passato. Certo, non possiamo modificare i fatti avvenuti, ma possiamo modificarne il senso e il valore. Ogni cosa ha un senso e un valore all’interno del senso globale della nostra vita ed è precisamente questo senso e questo valore che noi possiamo modificare ex-post secondo il nuovo senso che la nostra vita ha ricevuto.
Per questo, aggiunge Scheler, è possibile che uno si penta fattivamente del male compiuto. Il pentimento non è un’illusione, non è qualcosa di posticcio, ma è un senso e un valore nuovo che le nostre azioni compiute nel passato ricevono.
Se siamo quello che siamo, testimonia Cavallina, è perché Qualcuno ci ha perdonati, si è assunto il nostro male, il nostro peccato. E perché qualche suo discepolo ci ha reso presente un nuovo sguardo pietoso su noi stessi. Come ho già scritto, in occasione del Perdono di Assisi, tutti noi abbiamo bisogno di perdòno. 

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