L’ottimo amico Paolo
Gambi, collaboratore tra i più apprezzati della Voce di Romagna, mi invita a
una trasmissione che conduce per una tv locale di Faenza. Ci rincorriamo per
alcuni mesi, poi, finalmente, troviamo il momento conveniente per entrambi.
Quando mi presento nel capannone che funge da sala di registrazione, incrocio
Bruno Sacchini che sta uscendo accompagnato da Gambi:
la più alta
concentrazione di “Vociani” al di fuori della redazione del giornale!

La trasmissione di Gambi
si chiama “A cup of tea with…” e questa volta l’ospite invitato a bere la tazza
di tè sono io. Il tè, naturalmente, è un pretesto per fare quattro chiacchiere
(anche perché la tazza è la stessa che Sacchini ha lasciato sul tavolo e il tè
è gelido…).
Argomento – la letteratura russa, materia che insegno
all’Università di Urbino.

Come nelle migliori
tradizioni della televisione italiana, Gambi è accompagnato da una valletta: è
una studentessa di ragioneria di Faenza, si chiama Barbara, ma soprattutto ha
una minigonna di quelle che non cominciano mai e finiscono subito e due gambe
“ad altezza uomo”.
Mi concentro sulla letteratura russa e cominciamo la
registrazione. Tutto va come previsto: Gambi domanda, io rispondo, la valletta,
seduta non casualmente su un alto trespolo, interviene ogni tanto leggendo
frasi dai classici russi con spiccato accento faentino. Finisce la trasmissione
e, mentre Gambi e io ci attardiamo a fare le ultime chiacchiere, Barbara
“Gambe” si cambia la minigonna, che si rivela così un apposito abito di scena.

A quanto mi dicono, la
trasmissione va in onda qualche tempo dopo, con tanto di replica. Non riesco a
vederla, ma diversi conoscenti mi fermano per il classico “ti ho visto, l’altra
sera, in tv”. Mi spiegano che, mentre io e Gambi volteggiavamo da veri
intellettuali tra le rarefatte altezze della letteratura, il regista della
trasmissione faceva lunghe riprese delle gambe dell’aspirante ragioniera,
cominciando dalle caviglie e salendo via via fino alle cosce.



Non più “separazione degli
stili” come nella letteratura classica, dove un dio poteva comparire solo nella
tragedia e una prostituta o un pescatore solo nella commedia; non più
differenziazione degli argomenti e del linguaggio a seconda dei generi
letterari. I Vangeli rompono questa regola retorica e introducono quella che
Auerbach chiama la “mescolanza degli stili”: è il riflesso della nostra vita,
dove le altezze ideali si mescolano con le passioni più carnali, dove le
questioni divine si coniugano con i discorsi d’affari, dove le raffinatezze
della critica letteraria coesistono con le cosce della ragioniera.
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