giovedì 6 dicembre 2012

I cinesi che non perdono la faccia



La Voce di Romagna, 17 febbraio 2006


La caduta da brividi di Dan Zhang, nella gara di pattinaggio artistico delle Olimpiadi invernali, ma, più ancora, l’incredibile recupero che ha portato l’atleta cinese alla medaglia d’argento, meritano un commento. La gara l’abbiamo vista tutti, e tutti, anche chi di noi tifava per la coppia russa poi risultata vincitrice, abbiamo condiviso delusione e sofferenza e poi infine gioia liberatrice per la vittoria morale dei due pattinatori cinesi sulla sfortuna, su quello che era sembrato un ostacolo insormontabile. Già, insormontabile per noi Italiani… Insormontabile per il commentatore della RAI che, dopo quel salto altissimo conclusosi malamente sul ghiaccio del Palavela di Torino, ha prematuramente stilato il podio della gara depennando la coppia cinese Zhang e Zhang. E invece…

E invece la cultura cinese, come pure quella giapponese, dà grandissimo valore alla considerazione sociale, ciò che si riflette nel concetto di “salvare la faccia”. Regole non scritte dettano i comportamenti degli individui all’interno della società allo scopo di combinare il rispetto per se stessi con il prestigio degli altri. Così, durante una competizione anche commerciale, il tradizionale sistema di valori cinese impone che si conceda allo sconfitto qualche premio di consolazione, che non lo si umili. E quando, comunque, le circostanze portano alla sconfitta c’è un’ultima difesa, un ultimo modo di non “perdere la faccia”: assumere un’espressione impassibile come se nulla fosse successo, evitare di perdere il controllo di se stessi, di mostrare pubblicamente la propria frustrazione, la propria rabbia.
Laddove un Italiano si sarebbe messo a piangere e a imprecare contro il destino cinico e baro, con il conforto e la comprensione di mamma, papà e della nazione intera; dove un americano avrebbe intentato causa ai manutentori della pista di ghiaccio, agli architetti del Palazzetto e agli organizzatori delle Olimpiadi, la mite e determinata Dan Zhang, nel breve scorrere di due minuti, si è ripresa, ha mascherato dolore, delusione, un’intera gamma di sentimenti e ha ripreso la sua danza commovente sul ghiaccio lucido. Una piroetta, un’altra ancora, facendo leva proprio sul ginocchio sinistro che aveva sbattuto violentemente contro il ghiaccio e infine il giusto premio: medaglia d’argento!

Che meraviglia, e che lezione! Autocontrollo, dominio di sé, senza inutili polemiche con il partner, senza giocare allo scaricabarile, senza accampare scuse, senza cercare giustificazioni. Confrontiamo questa lezione con quanto ci passa il convento televisivo, con quella Tv spazzatura in cui l’esplosione incontrollata dell’ira e l’esibizione della mancanza di autocontrollo sono ormai norma settimanale. Confrontiamola con le parolacce e le offese irripetibili anche tra compagni della stessa compagine, parolacce e offese che accomunano campi da calcio, spogliatoi, Parlamento, per non parlare dei Consigli comunali e di Circoscrizione.  
Confrontiamola con la spettacola-rizzazione della vita e dei suoi aspetti più abietti nei reality show, dove l’offesa e la scurrilità sono studiati e voluti per aumentare lo share, dove attori-spettatori mettono in piazza le proprie brutture. Confrontiamo e scegliamo: io sto dalla parte della pattinatrice cinese, dalla parte della tradizionale virtù della “mansuetudine”, che non è mancanza di energia, ma forza potente per vincere se stessi, per possedere il proprio “io” contro la volubilità, la mancanza di carattere, l’incostanza. 
Così si vince. Così si diventa persone più vere, andando contro e non assecondando le proprie miserie, le proprie debolezze. Certo, anche questo autocontrollo può, in definitiva, essere egoistico, diventare alimento dell’amor proprio, come ammoniscono i maestri cristiani di vita interiore; e dunque va purificato, elevato, orientato all’apertura verso gli altri, all’amore degli altri. Però, quanto meno, la strada è quella giusta.

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